Next Estate, maggio-giugno 1993, de FLAMINIA BONINO

EBERHARD BOSSLET Sala 1

Una saracinesca da capannone industriale, tesa tra le due mura della galleria, costituisce l'installazione realizzata da Eberhard Bosslet appositamente per la Sala 1. Sta su grazie alla pressione esercitata dalla lunghezza della struttura, alle cui estremità sono collocati due cuscini ad aria compressa, sulle pareti della stanza. Nella sala attigua tre elementi, sorta di strani macchinari costruiti con materiali industriali, riposano sul pavimento, diligentemente collegati alle bombole a pressione che forniscono loro la forza vitale. Le sculture di Bosslet infatti sono costruite tramite l'assemblaggio di pezzi industriali - apparentemente scelti in modo casuale in modo da formare delle strutture, che, similmente alla saracinesca, stanno insieme grazie alla pressione che gonfia i cuscini di gomma utilizzati.
Il fulcro del lavoro sta nell'accostamento di «materiali morbidi, come materassi, cuscini ad aria compressa, copertoni usati, e materiali rigidi, come tiranti in acciaio o strutture industriali in metallo (che) - come spiega Domellico ficudero nel catalogo - mettono in moto nell'osser\ atore un meccanismo di paura, di awersione verso l'oggetto esposto». Più che paura, in alcuni casi, questi lavori suscitano curiosità. Curiosità per il meccanismo e la funzionalità interna dell'opera, un elemento che d'altronde, occupa uno spazio fondamentale nel percorso creativo di Bosslet. Il progetto-saracinesca è accompagnato da accurati schemi, piante e proiezioni elaborate al computer, studi da cui emerge ancora più chiaramente la componente razionalistica e architettonica della formazione dell'artista, già visibile al primo impatto.
Tedesco di nascita e di spirito, alla sua prima personale italiana ma già ampiamente noto all'estero (ha partecipato, tra le altre mostre, a Documenta VIII), Bosslet concepisce i suoi lavori in stretta relazione allo spazio destinato ad accoglierli e ne studia la collocazione con rigore matematico. La sua predilezione per i materiali di origine industriale dura dagli anni Ottanta, ma si esprime in maniera sostanzialmente diversa da altre esperienze fatte con gli stessi mezzi linguistici, oggetti privati della loro funzionalità, in ambito pop ed europeo.
Le strutture di ferro di Bosslet, tese tra due coppertoni, distanziate da un cuscino che sembra sul punto di scoppiare e tenute insieme da un apparentemente fragile elastico o cavo d'acciaio, a cui si va ad aggiungere l'elemento estetico di un tubo colorato, si qualificano - spiega Domenico Scudero - «come uno dei momenti di massima evidenza dell'ideale europeo, la concretizzazione materica di un pensiero sulla condizione sociale della nazione Europa (...) la sua mira è esplicitamente quella di coinvolgere nella realtà dell'esistenza un oggetto che sia costruito attraverso l'attualità produttiva, poi immediatamente depositata come árcheologia industriale, ma sovrapposta e strutturata in una macchina tecnologica opposta alle leggi fisiche e dinamiche del mondo».
Un lavoro interessante e storicamente collocato da Scudero, che però lascia aperto un quesito. Tra cuscini e tiranti, aria e acciaio, spirito e materia: di cosa sarà fatta l'arte di Bosslet?

Flaminia Bonino