BOSSLET, SALA 1, Roma,1993, Catalog, by DOMENICO SCUDERO

Prologo
Può un oggetto sintetizzare il senso di una universalità comunicativa? Su questra domanda si snoda tutto il percorso di Eberhard Bosslet: un tragitto non facile, ma di forte impatto visivo, tanto da poter divenire a volte inquientante, per quell’aggressività che é connaturata ai materiali usati e alla loro posa. L’arte messa in scena da Bosslet ha in sé qualcosa di incorporeo ma anche di materialmente violento. A questa bivalenza, un’apparente incompatibilità comunicativa, ci inizia ilcammino intellettivo di ogni sua opera.
Episodi
L’oggettualità che si metterà in „scena“ parallelamente alla Pop americana è nella sperimentazione europea un oggetto di uso comune, spogliato dalle sue „funzi`onalità“ specifiche e riassorbito nel campo visivo come unico momento di analisi globale. II percorso delltoggetto artistico in Europa si muove in modo determinato più dalla referenzialità storica dell’arte che non dalla monumentalità del quotidiano. Quando l’arte europea cerca di raggiungere la vita, ecco che allora l’idealismo vince sempre sul carattere empirico di ricerca.
Se l’arte americana di oggi è rarefazione dell’oggetto per una radicalità del pensiero, come in Cady Noland, Gonzalez-Torres, Stephen Prina, Jenny Holzer, per gli artisti europei l’arte diviene la necessità tangibile in cui si concretizano le utopie per una cultura fondata sul rapporto unitario fra etica ed estetica. L’idealismo che é implicito in questa tensione verso l’oggetto „universalmente“ comunicativo si esplica con un approccio processuale verso la verità e si conclude nella forrna materica fattuale, esemplare, intraducibile.
Il lavoro di Bosslet si qualifica come uno dei momenti di massima evidenza di questo ideale europeo, la concretizza materica di un pensiero sulla condizione sociale della nazione Europa. Se in questa identitá ancora astratta, tuttavia ben identificabile, la scultura inglese disegna ed inventaria il sogno e la speranza di un post-industnialismo etereo (Tony Cragg, Grenville Davey, Julian Opie) nell’oggettualità di matrice germanica, (Günther Förg, Gerhard Merz, Reinhard Mucha, Thomas Schütte) vediamo sorgere le -ragioni evidenti dell’ldealismo etico di una nuova coscienza europea, macchiata dalla storia, dal rimorso, ma anche animata dalla consapevolezza della sua memoria, quindi dalla sua forte personalità.
Il percorso di Bosslet si incunea direttamente, ingegneristicamente, e in modo progettuale nel flusso della recente storia dell’arte: la sua mira è esplicitamente quella di coinvolgere nella realtà dell’esistenza un ogetto che sia si costruito attraverso l’attualità produttiva, poi irnmediatamente depositata come archeologia industriale, ma sovrapposta e strutturata in una macchina tecnologica opposta alle leggi fisiche e dinamiche del mondo. Diversamente dalla appropriazone di Armleder o dalla diversione di Cazal, il lavoro di Bosslet Infatti disegna una realtà scaturita dalla nuova disposizione degli oggetti e delle tecnologie usate.
Ci sono più livelli nella sua ricerca, rna possiamo di certo affermare che il punto di partenza sia sempre una progettualità molto rigorosa che assume nei vari stadi le più alte gradualità della teçnica. Nella prima metà degli anni ottanta Bosslet ha prodotto dei lavori in cui la radicalità geometrica andava sedimentandosi in opere astratto-concrete, i cui colori erano dati naturalmente da materiali come il catrame, il ferro: successivamente questo raziocinio cadenzato, viene superato da una coerente analisi delle strutture plastiche. Da questo momento il tragitto di Bosslet si individua nella codifica di un oggetto esemplare per un determinato spazio dato. Il suo lavoro comincia ad essere il frutto di un attento studio architettonico della struttura-contenitore. Questa processualità fatta di proiezioni geometriche e di calcoli molto accurati, elaborati su fogli virtuali, consente di valutare le relazioni reali delle opere ideate. Un procedimento simile ai migliori studi di progettazione, alle più avanzate tecniche di ingegneria.
La contrapposizione di materiali morbidi, come materassi, cuscini ad aria compressa, copertoni usati, e materiali rigidi, come tiranti in acciaio o strutture industriali in metallo, mettono in moto nell’osservatore un meccanismo di paura, di avversione verso l’oggetto esposto. Spesso arrampicate fra le pareti degli spazi espositivi, o ancora, tenacemente bloccate fra le strutture architettoniche, le opere di Bosslet sembrano pericolose ed insieme terribili per lo spettatore. In realtà quell’effetto per nulla falso, di compressione, di violenza, di grande forza, è interamente sotto controllo. Quella sensazione di inquietudine che provocano le opere non ha motivo d’essere. I suoi lavori non costituiscono in alcun modo una minaccia seria: come potrebbe, infatti, l’aria, anche se compressa, spezare la forza del metallo, la tensione dei tiranti? Tuttavia, questi lavori ci tengono alla distanza, come potessero ferirci in una esplosione.
La scena offerta da ogni oggetto di Bosslet ci parla della coscienza europea cosi come oggi ci appartiene: fortemente problematica, pressata, apparentemente sul punto di deflagrare, ed in cui si possono intravedere gli olocausti di Racine e le frenesie di Shakespeare. Eppure, questo sentimento eroico, brechtiano, è sempre misurato in una esclusiva rarefazione „telematica“. Ogni impulso viene infatti coerentemente raffreddato e controllato nella progettazione. In altri termini, quanto vi è di wagneriano nel lavoro di Bosslet è senza dubbio motivato da una ineluttabilità processuale verso l’opera esemplare, e non è mai „sublime“ romantico. Nulla è lasciato al caso: tutto, nella macchina scenica di ogni sua esposizione è volutamente sotto controllo. Tutte le forze fisiche che vi sono espresse, dalla gravitazione all ‘espansione dei corpo, fanno parte di un progetto in cui l’idea stessa di materia assume il significato matematico dello spazio-tempo, quello che Bertrand Russell definiva „empirismo globale“. E la volontà di superare la fredda esteticità realista della fenomenologia e farne ancora un „ideale“.
La diversità e lestrema singolarità dellopera di Bosslet, il suo ruolo all’interno della coscienza odierna della cultura europea può evidenziarsi nel confronto con due artisti americani che in modo similare svolgono un compito paritetico; Peter Halley ed Ashley Bickerton. Entrambi hanno con Bosslet non poche affinità linguistiche. L’astrazione sociologica di Halley, ad esempio, lo spiegamento geometrico della vita quotidiana nelle sue celle smaglianti ha una consonanza con le opere astratte di Bosslet. Ma in Bosslet ogni lavorno è un modello ideale di una possible rappresentazione sociale e non costituisce mai un esempio logico: rimane una pura astrazione. In Bickerton il parallelismo diviene ancora più preciso. Quando Bickerton si appropria di elementi naturali incomiciandoli nei galleggianti; come proponendo uno spaccato futuribile del nostro probabile quotidiano, egli incamera l’idea della natura all’interno della tecnologia, per cui tutti i timori e le ansie vengono avvolte dalla ragionevolezza del progresso. In Bosslet l’impatto formale è molto simile, a volte anche cromaticamente, ma non vediamo mai la natura costretta all’intemo della progettualità, semmai la sua ideazione è compresa da una ragione „naturale“ cui non è possibile accedere se non in termini matematici. L’oggetto di
Bosslet infatti non è una postilla empirica, un simulacro della realtà, poichè rappresenta materialmente ciò che logicamente possiamo esprimere soltanto a parole: la nostra coscienza.
Epilogo
Sebbene quindi il lavoro di Eberhard Bosslet sia un esplicito coinvolgimento nella storia dell’arte, i suoi referenti non sono mai risolti in una tautologia formale.
Forte di una ragione radicale, architettonica e tecnologica, Bosslet sembra approdare ad una sintesi estrema della razionalità filosofica. In lui possiamo dire che quanto è stato appurato nelle lezioni di Marcuse, Benjamin, Adorno e Horkheimer, ha raaqiunto la solidità concreta di un discorso oaqettuale: dall’utopia della „teoria critica“ alla prassi realista della materia.
E’ in ogni suo lavoro quel misto di paura, panico,esaltazione estetica e cordoglio etico, che si muovono nel più intimo coagulo dell’anima europea, la paura della memoria e del futuro: ma in ogni opera di Bosslet questa stessa complessità emotiva risulta poi sotto dominio, guidata dalle dita della mano sulla tastiera ‘funzionale’ del computer dove si progetta, si immagina e si disegna il futuro.
Domenico Scudero